“Mi annoio…”

Forse siamo diventati dipendenti dal bisogno di fare, organizzare, prenotare, prevedere, progettare… Restiamo a fatica in casa e, ad ogni occasione di festa, l’espressione più usata sembra essere: – Che facciamo domani?, dove andiamo?-

Va bene tutto, basta essere felici!

Invece, tante volte, arrivano al mio studio, lamentele di bambini stanchi che tra compiti, sport, catechismo, non riescono a stare a casa per giocare; papà e mamme che non trovano il tempo per rimettere in ordine i documenti accumulati sul tavolo, guardare una puntata in più per quella serie tanto carina oppure rammaricati di non riuscire a leggere quel libro sul comodino o fare quella chiacchierata al telefono con calma, troppe volte rinviata.

Siamo diventati esseri in movimento, tanto abituati ad una quotidianità multitasking che richiede sempre più energie per riuscire a tener tutto sotto controllo.

E, quel che è ancora più stressante, è la richiesta sociale di essere sorridenti, soddisfatti, realizzati, efficienti, in ordine con l’abbigliamento “adatto” per ogni occasione. Sempre!

Temiamo il silenzio, abituati come siamo al ritmo di rumori che, a fine giornata, pesano sull’umore e sulla stanchezza generale, mentale e fisica.

Abbiamo anche il timore del tempo da soli e cerchiamo ad ogni costo altri da sentire, aggregare, cercare per “fare qualcosa insieme”…

In realtà, abbiamo paura delle pause, della quiete, del nulla fare. Le cerchiamo ma dopo un pò ci viene l’ansia da mancanza del fare al punto che, rimanere fermi ci spaventa, ci fa sentire inutili per aver “sprecato” tempo.

Tanti genitori temono che il bimbo si “annoia” e, per questo, prevengono il nulla fare organizzando al minuto i loro pomeriggi sempre più pieni di attività incastrate nelle ore. Li sostituiscono nel prendere iniziative che spetterebbero unicamente ai bambini: l’amichetta a casa, il parco obbligatorio dopo la scuola, i giochi in gruppo, gli animatori per la festa. Se riflettessimo su ciò che diciamo, a volte basterebbe per cambiare verso. “L’animatore” serve ad animare. Ma forse è l’animatore e non i bambini stessi che dovrebbero divertirsi a scoprire come giocare, individuare spazi per essere liberi, riuscire a farsi accettare per aggregarsi ai coetanei? Gli togliamo quegli strumenti dalle mani e la Montessori inorridirebbe aggirandosi tra gonfiabili e feste organizzate.

I bimbi dovrebbero aiutarci a mantenere in vita la nostra creatività, la fantasia, l’immaginazione che aiuta a sognare, costruire, condividere e invece, facciamo di tutto per eliminarla dalle loro potenzialità organizzando loro tutto ciò che “noi” crediamo desiderino o di cui abbiano bisogno.

In realtà, i ragazzi non sono allenati a organizzare il proprio stare da soli, il non aver nulla da “fare”, bravi come siamo a sostituirci alla loro inventiva e, di conseguenza deprivarli di ciò che richiede la loro diretta responsabilità, tenacia, determinazione nella ricerca di ciò che li fa stare bene.

Il “fare” non è “l’essere”. Non avere nulla da fare non significa eliminare le occasioni per “essere di più e meglio”.

Li educhiamo a correre sempre, a spostarsi, riempire anche i più brevi attimi di una organizzazione che, inizialmente indotta dagli adulti, diventa indispensabile per loro. Ne vedo molti ansiosi già in tenera età. Anche dai loro racconti avverto il bisogno di nulla fare, di oziare, di stare una domenica senza programmi, senza fretta, senza scadenze che limitano l’espansione del tempo…

Lasciamo che sperimentino lo stare bene con se stessi, rilassarsi, distendersi, inventare. Apprezziamo l’idea di una quiete “fertile” ed iniziamo ad adottarla anche come nostro modello, cercando di inventare dei piccoli spazi da dedicare al nulla fare per caricare e rinfrancare anche il nostro ”essere migliori”.

Sacrificare un po’ del fare in nome dell’essere, far tacere per un po’ la ragione in nome dell’immaginazione e del sogno, ridurre il controllo in nome di un sano “lasciarsi andare”, evitare una eccessiva programmazione per imparare a “sentire” cosa ci interessa davvero… Questo tempo, lasciato andare al caso un pò forzatamente, può rappresentare per tutti un’occasione per scoprire un “altro modo di vedere la quotidianità” più calma, meno veloce, più riflessiva e, come tale, più produttiva ed efficace.


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