Sentirci esaltati se il nostro imperativo è fare, produrre, correre, rende le nostre giornate dense ma faticose con risultati che tante volte ci deludono; ci sembra di aver tralasciato tanto e comunque, di aver fatto troppo poco… In una società che misura il valore attraverso la performance, il rallentare è un gesto quasi scandaloso, a volte penalizzato.
Fermarsi è controcorrente, quasi un atto sovversivo. Interrompere con una decisione più consapevole, un’idea nuova, una cura che parte da sé che ci possa astrarre da azioni automatiche, ritenute indispensabili senza esserlo; da comportamenti per nulla spontanei che richiedo stress solamente a concepirli, figuriamoci a metterli in pratica…
In realtà, il ritmo ci prende e se tentiamo di interromperlo, ci invade un disagio sottile per non aver risposto a un dovere invisibile che fa scattare : “Vorrei ma non posso!”.
Eppure è proprio quello spazio vuoto che diventa fertile, che ci fornisce la possibilità di ascoltarci davvero.
Che sia un tempo significativo o breve, è lì che emergono pensieri trascurati, emozioni ignorate, domande che da tempo bussano piano. Fermarsi con la volontà di “lasciare che accada” è un atto di presenza a se stessi che ci aiuta a scegliere di essere, prima di continuare a fare. Magari, sarebbe utile anche da mostrare agli altri, quasi come buona pratica di benessere da diffondere con l’esempio. Possiamo rappresentarlo anche ai bambini, calamitati dal movimento vorticoso in maniera diretta o indiretta, come se tenerli impegnati generasse grandi attitudini e competenze; agli adolescenti che accompagniamo nella costruzione dell’identità, che si uniformano tante volte a modelli di passaggio, senza basi di stima e fiducia in sé da consentirgli di affrontare il senso pieno della realtà; ai nostri interlocutori quotidiani, causa ed effetto del nostro correre, verso i quali sembriamo sfuggenti e impossibili da attraversare per poter vivere con loro relazioni più profonde e meno “liquide”.
Possiamo dimostrare che esiste una bellezza nel tempo vuoto e addirittura una utilità dell’inutile. Fermarsi, in fondo, è un gesto di fiducia. Fiducia che il mondo che non smetterà di combattersi per i nostri ritmi intensi. Che noi possiamo bastare, senza impegnarci a dare anche il superfluo. Che la vita, anche senza accelerazioni, per fortuna sa come fiorire lo stesso.