Ci sono giovani adulti che arrivano da me tremanti, impauriti, incapaci di prendere decisioni , alla ricerca di “perché” cui non sono giunti gradualmente ma che, comunque, alla loro età richiedono risposte autentiche e personali. Altri sembrano pieni di sé, rumorosi, sbruffoni… ma basta poco per cogliere la fragilità che li tiene insieme a fatica.
Hanno tra i 20 e i 30 anni. Studiano, lavorano, vivono storie d’amore che spesso somigliano a matrimoni in piccolo… Eppure si sentono soli.
Soli nelle scelte, soli nei dubbi, soli nelle emozioni.
Mi chiedo spesso cosa sia successo nel passaggio educativo tra l’adolescenza e l’età adulta. Il tema è delicato, molto attuale e riguarda il modo in cui oggi si costruisce (o si perde) la presenza educativa nel passaggio dall’infanzia all’età adulta.
Nel tentativo – a volte giusto, a volte confuso – di evitare i modelli autoritari del passato, molti genitori hanno finito per fare un passo indietro troppo grande e troppo presto, pur di non cambiare passo in relazione all’età mutata dei soggetti in gioco. Hanno creduto che amare i propri figli significasse lasciarli liberi da tutto: da regole, da confronti, da domande scomode. Hanno deciso che, una volta frenate le smanie dell’adolescenza, oramai avrebbero dovuto fare da soli.
Libertà è diventata, in molti casi, sinonimo di assenza, di complicità anche di esperienze non condivisibili, pur di apparire amici dei propri figli.
Assenza di guida, di contenimento, di riflessione condivisa.
Così basta essere “diligenti”, studiare più o meno con costanza, per meritarsi il titolo di “responsabili” e non essere più disturbati. Dai 13 ai 20 un vuoto educativo, molto spesso solamente limitato a correzioni di comportamenti, sottolineature di scarsi rendimenti o, al contrario, elogi sullo studio, sulla palestra, sulla danza… insomma, figli da non poter più “correggere” oppure soggetti da successi sicuri. Quali timori, qual è il modello assunto per dare senso alla propria esistenza, come si contestualizza il rispetto per sé e per gli altri, quale potenziamento per tutto l’universo emotivo, sembra un percorso che riguardi solamente la vita autonoma di un ragazzo di 20 anni.
Eppure, la responsabilità non nasce da sola, né per anagrafe né per consuetudine. Si coltiva nella relazione. Nella presenza di adulti che non si spaventano di fronte alle contraddizioni, che sanno esserci senza invadere, che restano disponibili anche quando sembrano inutili, che sanno inserire nel proprio bisogno di autorealizzazione anche la reciprocità. la prossimità. la tenerezza con i propri figli adulti.
Sembra che una volta terminata la fase del compiacimento verso i genitori, mamma e papà siano diventi bancomat e tetto gratuito. Eppure, basta andare poco oltre le apparenze per toccare pezzi di insicurezza, timore di vivere, affrontare le relazioni con l’altro genere, pezzi di solitudine.
Molti non cercano consigli, ma sguardi attenti, segno di presenza accorata.
Non vogliono intrusioni, ma qualcuno che abbia ancora il coraggio di chiedere:
“Come stai davvero? Ti senti al tuo posto? Hai bisogno di me? Chi è quel ragazzo che frequenti? conosciamo la ragazza con cui esci?” E, magari, tante volte, iniziare parlando dei nostri limiti, dei nostri amori falliti, della forza che impieghiamo per condurre la famiglia, del necessario collante dei sentimenti positivi che aiutano ad affrontare una quotidianità orientata alla felicità.
